Biografia di un imprenditivo dell’innovazione sociale

PREFAZIONE a cura di Umberto Margiotta

A proposito di Apprendere e generare innovazione continua, di Antonello Vedovato.
Vi sono tre nuclei forti nell’Autobiografia intellettuale che Antonello ci offre in queste pagine scritte in modo essenziale, senza fronzoli e retorici compiacimenti. Il primo è quello soggettivo che ci si attende da una Autobiografia intellettuale; il secondo è quello degli eventi attraverso cui si egli ritiene si sia costruita e sviluppata la sua Bildung: potremmo identificarlo come un percorso esperienziale ad espansione progressiva; il terzo è quello tematico, contrassegnato dal contributo più rilevante che credo emerga, ed è caratterizzato da un principio formativo che egli definisce come “ciclo del valore”.

1. L’Autobiografia intellettuale
Ho riletto numerose volte queste pagine. L’ho fatto perché volevo cogliere quella scintilla che ritagliasse in una immagine la storia e le vicende personali entro un orizzonte palpitante e che me le facesse sentire vicine e in sintonia. E infine mi è parso di ritrovarla nell’episodio della madre che, dinanzi al giudizio “irrevocabile” del professore di matematica delle medie, non si arrende. Usa il cuore e cerca, e trova una soluzione che segnerà la vita di Antonello. E lo iscrive dai Salesiani.

In un mio recente libro dedicato a La Formazione dei Talenti (Franco Angeli, Milano 2018), introduco la seconda parte con questo estratto da una lettera di Don Bosco: “Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati… Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni… imparino a veder l’amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono: la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a fare con amore; che si ami ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori… Familiarità con i giovani specialmente in ricreazione. Senza familiarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama…” (S.G. Bosco, Lettera da Roma del 10 maggio 1884, in RSS 3 (1984), pp. 342-346). Non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.

2. La formazione come logica della vita

Ma con questo siamo al filo rosso di tutta la scrittura di Antonello: la formazione, per lui, non è una professione, non è solo una passione, non è soltanto un ambito, ma è una vocazione che ispira, trasforma e infiamma tutta la sua esistenza. Per capirne la prassi, che egli comunque sgomitola nelle esperienze che descrive, non basta analizzare solo le sue attività e i gesti educativi che le corroborano. Occorre soprattutto connetterli alle motivazioni di fondo e alla sua spiritualità, che giocano un ruolo fondamentale nella costituzione del suo mondo interiore. In poche pagine Antonello sintetizza la sua personale esperienza del modello pedagogico salesiano: l’atteggiamento disponibile ed empatico di approccio è accompagnato da un’offerta della possibilità di sviluppare i propri doni e talenti in un percorso educativo costantemente tutorato. Nell’incontro suscita intenzionalmente attesa, desiderio, entusiasmo prospettando soluzioni concrete, nuovi orizzonte di speranza che vadano oltre la situazione presente. In un secondo momento l’educatore salesiano stimola e motiva nel giovane la corrispondenza, la buo- na volontà e l’impegno, fino alla formulazione di una “promessa” che esprime l’affidamento confidente del giovane nel rapporto educativo dalla relazione affettiva e dal senso di riconoscenza. L’educatore inserisce poi il giovane nell’ambiente formativo della casa salesiana con le sue proposte ricche di valori, di relazioni umane, di attività e di stimoli educativi. Nei ritmi di vita e nel regolamento si dosano in equilibrio i doveri, i tempi di divertimento e le proposte di spiritualità. Nella terza fase del racconto, infine, don Bosco riporta le diverse crisi evolutive di natura culturale, relazionale, morale o spirituale che il giovane incontra nella sua vita:il giovane è aiutato a elaborare nuove sintesi interiori attraverso un processo di maturazione del carattere che non si sostituisce alle sue inclinazioni, ma lo orienta ad appropriarsi di un sistema di valori superiore, al quale egli liberamente decide di aderire, con convinzione, totalità e gusto.

Dopo l’esperienza salesiana, vengono le esperienze di lavoro e i progetti di vita: la consulenza tecnico-commerciale; la scoperta della cultura del lavoro in un Nordest che non cessa ancora oggi di stupire, infine l’incontro con Fumanelli e la decisione di scegliere l’educazione come professione. Progetto, azione, riflessione: sono i tratti che accompagnano le esperienze formative e che conducono Antonello a cogliere nell’innovazione il punto di svolta ricorso della formazione. C’è una frase rivelatrice quando lui scrive: “L’innovazione ci permette di promuovere vere competenze allineate con i bisogni del mercato del lavoro e ci lascia maggiormente centrati sulla messa a punto delle metodologie didattiche, centrate sullo studente”. Dunque l’innovazione non è una moda, né un modo per sopravvivere al mercato. È qualcosa di più profondo che fa il paio con il cambiamento profondo di metodo, di idealità e di visione che accompagna ogni atto formativo centrato sulla persona reale.
E Innovazione si incrocia, nella vita di Antonello, con Edulife, con la storia di un’idea e quindi di un processo bottom-up e della progressiva realizzazione infine di un sistema di azioni che danno forma alla sua stessa idea di formazione in età adulta.
Le pagine e la narrazione scorrono una dopo l’altra nel rappresentare processi che si intersecano e si fanno in presa diretta con l’esperienza e il reale: Open Learning Center; Apprendistato e Cooperative Learning; Edulife Start-up; Formazione degli Insegnanti; esperienze in America Latina; Fondazione Edulife; Plan Your Future; Co-working and Talent Sharing; Co-Living. Se si guarda al senso e alle implicazioni operative di ciascuna delle azioni appena richiamate, è impressionante come ci si ritrovi a cogliere il movimento generativo di un multi verso, la formazione, che si espande intorno ad un’asse integrale ed insieme articolato: il valore delle persone che quegli ambienti e quelle esperienze attraversano, il valore che esse comunque rilasciano agli altri e la co- generazione di una comunità di menti e di cuori che, come un popolo di formiche, orienta, innova e sviluppa rendendo tangibile ciò che è intangibile ossia il bene comune.

3. La catena del valore

Essa é, per Antonello, “il cuore del ciclo del valore. È la rivisitazione del sistema preventivo di don Bosco dove Amorevolezza diventa accoglienza e orientamento, Ragione diventa accompagnamento formativo e Religione diventa promozione umana e professionale” (p. 42).
Sappiamo peraltro che Il ciclo del valore è un modello che nasce dall’esperienza di due decenni di continue sperimentazioni, indirizzate a scoprire una modalità operativa funzionale ad ogni organizzazione per mettere al centro dell’attenzione la persona. Si va dal ciclo di Kolb, al Costruttivismo, al Cooperative Learning, alla Valutazione autentica, al Toyotismo, al principio di Pareto, al metodo Kaizen passando per la Learn Manufacturing. Del resto, il punto è questione antica: le risorse umane contribuiscono alla creazione di una parte significativa del va- lore di ogni organizzazione. Pertanto, esse diventano protagoniste di un ciclo virtuoso che se ben gestito può autoalimentarsi e produrre non solo un incremento delle prestazioni, quanto soprattutto arricchire il valore complessivo del processo produttivo e del bene prodotto. Il ciclo del valore applicato alle risorse umane è un modello analitico-descrittivo che studia le dinamiche che legano in sequenza le attività e le strategie della loro gestione e valorizzazione. Né è un caso che tale ciclo si sviluppi attraverso quattro punti fondamentali: le persone, le relazioni, le prestazioni, la valorizzazione e il successo personale e comunitario.
Ma per Antonello la catena del valore è qualcosa di speciale. Credo che l’esperienza da lui vissuta alla Conferenza internazionale delle IUS a Porto Alegre (giugno 1998) sia stata scatenante: “stimolo video, dialogo con raccolta delle relazioni in digitale, sperimentazioni attive decise insieme ai referenti dei singoli gruppi di lavoro e riflessione trasformativa di tre minuti registrata in video. Il tutto pubblicato in tempo reale sull’ambiente virtuale di apprendimento collaborativo di Edulife”. Insomma una metafora che si fa narrazione, una narrazione che si trasforma in progetto, un progetto che si fa azione, un’azione che si rigenera in cambiamento e un cambiamento che si esperisce concretamente come valore, da tutti e da ciascuno. È come assistere alla propagazione di una luce… fino ai confini del mondo, indipendentemente dai luoghi e dalle distanze. È un’esperienza impagabile! Ma insieme è qualcosa che ci fa toccare con mano il valore rigenerativo della formazione e ce la fa veder scorrere come linfa della vita!
Dopo la Cina e infine il 311: spazio generativo di co-working e di co-living. La formazione non è più la stampella del lavoro o dell’istruzione. La formazione è spazio di creazione e di rigenerazione per multi- alfabeti inviati ad esplorare mondi nuovi per entro spazi interstellari sconosciuti. “Se non creiamo luoghi – dice Antonello – dove i giovani e i gli adulti, attraverso una alleanza intergenerazionale, possano realmente generare opportunità di lavoro non riusciremo a dare via libera a tante vocazioni che con i propri progetti di vita possono contribuire ad una nuova umanità libera e realizzata nel proprio mandato” (p. 59).
Grazie Antonello per quanto son riuscito a cogliere nel tuo scritto, e anche – perdonami – per ciò che non mi è riuscito di intelligente.

Un abbraccio Mirano, 18 Luglio 2018

Autore: Umberto Margiotta

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Dal co-working al contesto di capacitazione

La trasformazione del lavoro è segnata dall’innovazione tecnologica, che ri-disegna luoghi e organizzazioni, fino a spingersi ai paesaggi e ai territori. Le possibili interpretazioni sulle ricadute o sulle prospettive, sui cambiamenti e sulle opportunità coinvolgono, in modo ampio, differenti campi di studio, esprimendo un ventaglio di punti di vista, tra i quali annotiamo anche lo specifico pedagogico, soprattutto del lavoro.

All’interno dell’odierna società, della quale Morin ha ben delineato da tempo le caratteristiche, vanno a formarsi pluralità di complessità, ormai così intrecciate e interdipendenti, tanto da richiamare costantemente la metafora dell’ecosistema.

È sufficientemente evidente che la “questione” del lavoro è strettamente correlata “alle” visioni, sociale, ambientale, formativa, di sviluppo, di modelli economici. In tutto ciò la “visione” pedagogica porta al centro gli esseri umani – e gli altri organismi viventi – nel farsi del loro progetto esistenziale, che oramai sappiamo svolgersi durante tutto l’arco della vita (lifelong), nei diversi luoghi di vita (lifewide), attraversato e diretto da valori ed etica (lifedeep). Ovvio che la mutazione del lavoro dovuta alla convergenza delle tecnologie digitali e all’ibridazione uomo-macchina, portata fino all’estrema interpretazione di Rosy Braidotti nel post-umano, divenga campo pedagogico.

In tutto ciò, se ne avessimo avuto necessità di ricordo, l’Agenda 2030 riporta al centro di tutte le possibili visioni la “questione” pedagogica. Il centro è lo sviluppo degli esseri umani, il loro ben-essere (well-being, diverso da wellness), la loro felicità possibile, nella relazione con l’ambiente – non nemico da vincere e assoggettare – come casa da abitare, territorio da vivere, risorse da amministrare. In una parola, sostenibilità. Una sostenibilità tesa altresì alla riduzione delle disuguaglianze e alla creazione di nuove opportunità.

La trasformazione del lavoro, negli ultimi anni, non ha portato solo all’introduzione delle tecnologie convergenti, che hanno dato vita a quell’Industry 4.0 e quella blockchain, note oramai per essere divenute linguaggi dell’innovazione. Per sostenere la nuova visione economico-produttiva, la trasformazione si è fondata su precise richieste al mondo della formazione – pensiamo alle competenze digitali dei lavoratori, a quelle di saper lavorare in team, di comunicazione, di resilienza, di imprenditorialità di sé stessi, solo per fare alcuni esempi oramai consolidati. La trasformazione ha chiesto alla pedagogia di divenire “guida” di senso e di significato, affinché potesse transitare dalla “technology” alle persone. In due parole, si è richiesta la formazione di capitale umano.

La trasformazione del lavoro è stata interpretata, nel con- tempo, in modi differenti. Sono nati così, a titolo di esempio, i co-working, ovvero esperienze associate in luoghi altamente “ergonomici” e curati esteticamente, in funzione di poter esprimere forme e genere di creatività e imprenditorialità, innovazione e redditività. Pur se anch’essi – soprattutto quelli di prima generazione – sono figli degli investimenti immobiliari, in Italia si sono affermati tanto da destare forte interesse come nuovo fenomeno “del” lavoro. Le spinte della ricerca sociale e pedagogica, hanno permesso ai co-working di evolversi  in parte  interpretandosi e proponendosi come “contesto” in grado di crescere. A partire, per esempio, dalle fondamenta valoriali incastonate negli impliciti della cooperazione, dell’intergenerazionalità, dell’interculturalità già ampiamente presenti nelle diverse regioni italiane, tanto da essere oramai definiti di terza generazione. Si è recuperata una visione dell’economia, dei luoghi che capacitano, di un’idea di sviluppo di capitale territoriale.

Il caso di 311Verona che presentiamo nel volume è un esempio di quel ri-disegnare il lavoro e il suo luogo, che abbiamo tratteggiato nelle righe precedenti. 311Verona è un progetto avviato dalla Fondazione Edulife nel 2016, con l’obiettivo di offrire opportunità per i giovani, creando lavoro e nuove economie. La direzione del progetto intendeva avviare un processo di contaminazione feconda tra generazioni, tra culture, con il digitale come strumento generativo di creatività. 311Verona è una storia che esemplifica la trasformazione del lavoro, avvenuta come progetto, attraversata da fasi generative, avviata dall’interpretazione di uno spazio urbano da rigenerare, nel quale realizzare l’idea di co-working caratterizzato dal digitale. Per evolversi, successivamente e rapidamente, in un’esperienza di innovazione dai tratti e caratteristiche proprie.

Un’esperienza co-costruita quasi come un’opera di “teatro dell’oppresso”, partecipata e rivitalizzata, il cui esito è lo spostamento di paradigma da uno spazio al luogo, dal co-working al capability ecosystem. Almeno queste sono le sintesi che la ricerca – pedagogica – in un luogo del lavoro trasformato, assume come traiettoria riflessiva introduttiva.

Volevamo capire da dentro, quello che veniva narrato dall’e- sterno, incuriositi da alcune parole chiave divenute slogan dell’innovazione, e per questa ragione ambigue. Abbiamo scoperto un’espressione possibile di economia civile, di attenzione all’economia fondamentale, di capitale territoriale non ancora indagato, di nodo di una possibile learning land contaminate dal digitale, ma guidate dagli esseri umani. Osservando, nel contempo, l’evolversi di un umanesimo rigenerato, attraverso la rigenerazione urbana, e di una possibile nuova narrazione del lavoro e della pedagogia implicita nei suoi contesti. In appendice presentiamo alcuni numeri del progetto 311Verona, tratti dai bilanci sociali.

Il volume è stato scritto immaginandolo come un programma di sala per un’opera prima.

Il prologo anticipa alcuni grandi temi che tratteggiano la moderna complessità, attraverso la narrazione di personaggi individuati come guide per accompagnarne l’attraversamento, descritti nei loro tratti caratterizzanti. Una serie di episodi lontani nel tempo, apparentemente poco pertinenti e correlati, eppure così vivi ancora, da poter rappresentare un unicum di innovazione. Filtrati nell’essenza, ci svelano i sapori che rendono un luogo di rigenerazione urbana, unico e particolare, adatto alla rigenerazione umana e alla progettazione di economie civili. Un prologo che apre alle successive scene, accompagnandoci verso il cuore della proposta: l’ecosistema per la formazione continua.

Nel primo atto viene descritto il cambiamento avvenuto nella narrazione del lavoro, con l’ingresso nel palcoscenico economico delle tecnologie convergenti e la conseguente radicale modificazione dei processi produttivi. Un percorso con fermi immagine su eventi scelti, che segnano la grande trasformazione in atto.

Il secondo atto ripercorre la genesi della nascita del progetto 311Verona, soffermandosi sulle motivazioni e sugli scenari, che si rappresentavano nel 2016, per avviare un profondo cambiamento – e una discontinuità – nell’economia veneta. I primi passi del co-working, lo spazio che ancora non è luogo, un trend verso la contaminazione tra sociale-culturale ed economico. Fino alla successiva emersione finale di una vision, connettiva di education, apprendimento continuo, sviluppo del territorio. Una vision che esprime i tratti descritti nel pro- logo, traendone insegnamento e direzione. Sono storie di uomini e donne che si incontrano negli ideali e che si scontrano, anche, nell’interpretarne l’azione.

Il terzo atto racconta l’epifania del luogo, la sua pedagogia, l’avvenuta mutazione da uno spazio di lavoro comune verso l’organizzazione e l’abitazione del luogo di interdipendenze, in grado di esprimere e formare talenti. Un luogo di co-workers e di co-imprese che significano, con il lavoro nuovo e la sua nuova interpretazione, il passaggio da un contesto di semplice spazio di lavoro condiviso, a luogo della capacitazione e della complessità generativa. La terza scena presenta anche il caso di studio e l’esposizione dei dati raccolti attraverso un ventaglio di strumenti. Il tentativo è di esporre e qualificare i tratti pedagogici di 311 Verona, motivo fondativo la ricerca. Nel luogo del lavoro accadono eventi sia intenzionali che non intenzionali, di tipo formativo, relazionale, organizzativo, che costituiscono il farsi di quattro dimensioni dell’apprendimento. È la scena che presenta quelle essenze che permettono l’unicum, il suo differenziarsi dai contesti di co-working noti, verso quella rappresentazione originaria, descritta dalla pedagogia del lavoro, di generatività e creatività nel e attraverso il lavoro.

Il passaggio al quarto atto, mette in scena il progetto esistenziale e il ridisegno dei contesti nei quali si pensa, progetta e organizza il lavoro. La prospettiva considerata è dell’economia civile. Il luogo rappresenta una rete di relazioni ed esperienze che rappresentano una trama per ritessere il progetto esistenziale di giovani – uomini e donne – la cui costruzione è stata spesso interrotta o rallentata da eventi della vita non lineari, oppure intenzionalmente rimappati. Le caratteristiche pedagogiche del luogo conducono alla definizione di un sistema che forma continuamente le capacitazioni. In questo modo si amplifica la prospettiva dell’agire competente, interdipendente, sociale, superando la consueta idea accumulativa di capitale umano, spostando il quadro verso l’innovazione sociale e lo sviluppo umano.

L’epilogo è la rappresentazione finale di un luogo del nuovo lavoro e di una sua nuova organizzazione, che si esprime attraverso l’essere contesto ecosistemico “per” la formazione, come luogo/laboratorio trasformativo. Il tentativo è di definire i motivi che giustificano la prospettiva ecologica di un luogo che forma all’azione. Ecosistema per la formazione dell’esse- re umano rigenerato, dove le connessioni con un nuovo sistema interpretativo, a matrice pedagogica, origina sia l’idea del progetto esistenziale – individuale ma sociale nel contempo – sia l’idea di sviluppo del valore dei territori, coesi anche grazie al digitale e ai suoi nuovi linguaggi.

Il fuori programma, con un fermo immagine sul Covid-19, considera il passaggio da un prima ad un dopo. Tutto è accaduto durante la chiusura del volume. Un fuori programma sotto tutti i punti di vista, che interpreta l’avvio di una nuova rappresentazione e un nuovo attraversamento: ovvero la possibile costituzione di una learnfare learning land come rete di luoghi generativi e creativi, solidali e sociali, civili e innovativi. Che desideriamo concepita per il “buen vivir” degli esseri viventi e dell’ecosistema. Fritiof Capra, Gregory Bateson, Humberto Maturana e Francisco Varela ne sono gli ispiratori. L’intento è di sostenere che possiamo cambiare strada. Creando alternative al vecchio percorso, oramai logoro e pandemico.

 

Autore: Piergiuseppe Ellerani

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La globalizzazione – oggi anche dei virus – e i consumi che generano un divario ecologico drammatico, un divario sociale espressione della concentrazione dei capitali finanziari nelle mani di pochi – il 90% dei patrimoni in mano all’1% della popolazione mondiale – un analfabetismo di ritorno artefice di un nuovo divario culturale, i “cambi esponenziali” in corso nella società in cui viviamo, hanno proposto e visto affermarsi scenari totalmente nuovi di vita. Prima di Sars Covid-19 questi scenari – a titolo di esempio – si snodavano in tre direzioni: la prima dai mercati internazionali, con un oriente oramai a livelli dei paesi OECD che impongono ritmi e cambiamenti culturali mai visti prima; la seconda dell’intelligenza artificiale, che stravolge il binomio costituito da processi e specializzazione degli Esseri Umani e che diviene tema tra i più dirompenti nell’introduzione delle tecnologie nei contesti organizzativi; la terza, delle economie “disruptive”, con le quali – per esempio con la creazione dei Commons – si aprono nuove forme di esperienza e di consumo, che sostituiscono i tradizionali modelli di business fondati su domanda e offerta regolata da rapporti separati (dai prosumers alle forme di organizzazione ibrida che permettono la combinazione di nuovi schemi di produzione, orientate alla creazione di valore sociale, attente agli impatti generati sulla società e sul contesto in cui si insediano). Nel frattempo gli accadimenti della pandemia hanno imposto una rivisitazione planetaria del concetto di crescita, scoperto economie infrastrutturali come fondamentali, ridisegnato le spinte all’innovazione digitale, riproposto antiche questioni relative allo sviluppo dei territori e delle economie sociali.

Quali nuovi significati allora riconoscere all’innovazione, nel lavoro, nelle organizzazioni, nelle città e nei contesti abitativi dislocati anche in aree più marginali? Le facili risposte del post-umanesimo e della singolarità percettiva impiantano direttamente nell’umano la frontiera dell’innovazione: con le conseguenze che sperimentiamo ogni giorno. Dunque piuttosto che muoverci nel solco di una univoca relazione tra innovazione e tecnologia, ci sembra più rilevante considerare l’innovazione come agentiva di modificazioni plurali nelle forme cognitive, sociali e di sviluppo, sia individuali che organizzative. Questa prospettiva porta al centro lo sviluppo della vita dell’uomo, senza se e senza ma. E il fine dello sviluppo e dell’innovazione si trasforma così in una calda aurora di fioritura esponenziale dell’umano, per dar vita, e riconoscere e accompagnare forme nuove di apprendimento e nuove forme organizzative. Insomma noi proponiamo che solo attraverso il miglioramento dei suoi potenziali di azione “nei” contesti formali e non-formali di apprendimento viene a formarsi una persona multialfabeta e multiverso, in apprendimento costante, e in grado di esprimersi pienamente come talento, individuale e sociale.

L’innovazione è molto più che cambiamento distruttivo. È piuttosto un flusso creativo di azioni che realizzano contesti generativi in ambito sociale, organizzativo, lavorativo. Generativi di nuove forme evolute di organizzazione, di cultura e di economie. Il tracciato che ne consegue non è più una freccia. É piuttosto una spirale nella quale persone e luoghi inventano, vivono e sviluppano connessioni di esperienze di apprendimento informale e continuo che modulano e rigenerano continuamente la formalizzazione delle competenze. E le trasformano in talenti.

La sfida è attuale e colma di speranza: “nel” lavoro, così modificato nei suoi significati più profondi, occorre attivare luoghi capacitanti che divengano nodi di una rete sinaptica che potenzia e sostiene le opportunità di innovazione sociale, culturale ed economica e ridisloca – per ciascun attore – il tessuto delle opportunità di apprendimento, di formazione e di invenzione. Così facendo diviene possibile restituire valore alle diverse forme di imprenditività, alle specificità territoriali, all’innovazione stessa, alle organizzazioni considerate nel loro svolgersi sociale.

La collana intende raccontare e presentare storie di vita e di apprendimenti – “nei” luoghi – scegliendo metodologie di ricerca di tipo fenomenologico, di grounded theory e comunque ricercando forme innovative della valutazione, non ultima quella d’impatto. La collana intende essere uno strumento della Fondazione Edulife e di 311 Verona per dar voce a quell’ecosistema – locale e internazionale, generatosi come primo Capability Ecosystem italiano – e ai temi correlati alle esperienze che da esso provengono: l’apprendimento nei luoghi non-formali e informali, l’innovazione, le smart cities, l’orientamento e l’alternanza scuola-lavoro, le nuove alleanze per portare a valore i patrimoni territoriali e le città, lo smart working, la sharing economy, l’economia dei Commons, l’open innovation.

Ne risultano nuove prospettive pedagogiche e di sviluppo delle attitudini alimentate dal Capability Approach e dallo Human Development. In tal senso saranno due le serie della collana: la prima – Biografie – di testimoni privilegiati che disegnano la spirale dell’apprendimento coerente sin qui descritta; la seconda – Ricerche – svolte dalla Fondazione su progettualità in linea con gli intendimenti della collana. I volumi pubblicati utilizzano, inoltre, la Realtà Aumentata, per amplificare le opportunità di apprendimento dei lettori.

Ellerani, P., (2020) Capability Ecosystem: L’ecosistema per l’innovazione e la formazione. Roma, Armando Editore

scarica l’estratto della ricerca condotta in 311 Verona Capability Ecosystem

 

IL CICLO DEL VALORE

estratto dalla postfazione

Il ciclo del valore è un modello che nasce dall’esperienza di tre decenni di continue sperimentazioni, indirizzate a scoprire una modalità operativa funzionale ad ogni organizzazione per mettere al centro dell’attenzione la persona che si vuole servire con la propria proposta. Le teorie che stanno alla base di queste sperimentazioni sono diverse e provenienti da differenti contesti di azione. Si va dal ciclo di Kolb, il costruttivismo, il cooperative learning, la valutazione autentica, al toyotismo, il principio di Pareto, il metodo Kaizen passando per la lean manufacturing. Tutte queste teorie che abbiamo potuto studiare con attenzione e applicare puntualmente nelle diverse sperimentazioni intercorse negli anni sono state riflettute attraverso il metodo preventivo di Giovanni Bosco. Ed è stata proprio la lettura e lo studio approfondito della vita e delle esperienze educative di Giovanni Bosco che hanno fatto emergere la sintesi che va sotto il nome di “Ciclo del Valore”.

 

La sfida per noi è stata creare una sorta di guida affinché tutte le persone che ne hanno la responsabilità possano creare all’interno della propria organizzazione un circolo virtuoso di miglioramento continuo, centrato sulla promozione umana e professionale delle persone che compongono le diverse comunità in apprendimento permanente.

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di Antonello Vedovato.