La globalizzazione – oggi anche dei virus – e i consumi che generano un divario ecologico drammatico, un divario sociale espressione della concentrazione dei capitali finanziari nelle mani di pochi – il 90% dei patrimoni in mano all’1% della popolazione mondiale – un analfabetismo di ritorno artefice di un nuovo divario culturale, i “cambi esponenziali” in corso nella società in cui viviamo, hanno proposto e visto affermarsi scenari totalmente nuovi di vita. Prima di Sars Covid-19 questi scenari – a titolo di esempio – si snodavano in tre direzioni: la prima dai mercati internazionali, con un oriente oramai a livelli dei paesi OECD che impongono ritmi e cambiamenti culturali mai visti prima; la seconda dell’intelligenza artificiale, che stravolge il binomio costituito da processi e specializzazione degli Esseri Umani e che diviene tema tra i più dirompenti nell’introduzione delle tecnologie nei contesti organizzativi; la terza, delle economie “disruptive”, con le quali – per esempio con la creazione dei Commons – si aprono nuove forme di esperienza e di consumo, che sostituiscono i tradizionali modelli di business fondati su domanda e offerta regolata da rapporti separati (dai prosumers alle forme di organizzazione ibrida che permettono la combinazione di nuovi schemi di produzione, orientate alla creazione di valore sociale, attente agli impatti generati sulla società e sul contesto in cui si insediano). Nel frattempo gli accadimenti della pandemia hanno imposto una rivisitazione planetaria del concetto di crescita, scoperto economie infrastrutturali come fondamentali, ridisegnato le spinte all’innovazione digitale, riproposto antiche questioni relative allo sviluppo dei territori e delle economie sociali.

Quali nuovi significati allora riconoscere all’innovazione, nel lavoro, nelle organizzazioni, nelle città e nei contesti abitativi dislocati anche in aree più marginali? Le facili risposte del post-umanesimo e della singolarità percettiva impiantano direttamente nell’umano la frontiera dell’innovazione: con le conseguenze che sperimentiamo ogni giorno. Dunque piuttosto che muoverci nel solco di una univoca relazione tra innovazione e tecnologia, ci sembra più rilevante considerare l’innovazione come agentiva di modificazioni plurali nelle forme cognitive, sociali e di sviluppo, sia individuali che organizzative. Questa prospettiva porta al centro lo sviluppo della vita dell’uomo, senza se e senza ma. E il fine dello sviluppo e dell’innovazione si trasforma così in una calda aurora di fioritura esponenziale dell’umano, per dar vita, e riconoscere e accompagnare forme nuove di apprendimento e nuove forme organizzative. Insomma noi proponiamo che solo attraverso il miglioramento dei suoi potenziali di azione “nei” contesti formali e non-formali di apprendimento viene a formarsi una persona multialfabeta e multiverso, in apprendimento costante, e in grado di esprimersi pienamente come talento, individuale e sociale.

L’innovazione è molto più che cambiamento distruttivo. È piuttosto un flusso creativo di azioni che realizzano contesti generativi in ambito sociale, organizzativo, lavorativo. Generativi di nuove forme evolute di organizzazione, di cultura e di economie. Il tracciato che ne consegue non è più una freccia. É piuttosto una spirale nella quale persone e luoghi inventano, vivono e sviluppano connessioni di esperienze di apprendimento informale e continuo che modulano e rigenerano continuamente la formalizzazione delle competenze. E le trasformano in talenti.

La sfida è attuale e colma di speranza: “nel” lavoro, così modificato nei suoi significati più profondi, occorre attivare luoghi capacitanti che divengano nodi di una rete sinaptica che potenzia e sostiene le opportunità di innovazione sociale, culturale ed economica e ridisloca – per ciascun attore – il tessuto delle opportunità di apprendimento, di formazione e di invenzione. Così facendo diviene possibile restituire valore alle diverse forme di imprenditività, alle specificità territoriali, all’innovazione stessa, alle organizzazioni considerate nel loro svolgersi sociale.

La collana intende raccontare e presentare storie di vita e di apprendimenti – “nei” luoghi – scegliendo metodologie di ricerca di tipo fenomenologico, di grounded theory e comunque ricercando forme innovative della valutazione, non ultima quella d’impatto. La collana intende essere uno strumento della Fondazione Edulife e di 311 Verona per dar voce a quell’ecosistema – locale e internazionale, generatosi come primo Capability Ecosystem italiano – e ai temi correlati alle esperienze che da esso provengono: l’apprendimento nei luoghi non-formali e informali, l’innovazione, le smart cities, l’orientamento e l’alternanza scuola-lavoro, le nuove alleanze per portare a valore i patrimoni territoriali e le città, lo smart working, la sharing economy, l’economia dei Commons, l’open innovation.

Ne risultano nuove prospettive pedagogiche e di sviluppo delle attitudini alimentate dal Capability Approach e dallo Human Development. In tal senso saranno due le serie della collana: la prima – Biografie – di testimoni privilegiati che disegnano la spirale dell’apprendimento coerente sin qui descritta; la seconda – Ricerche – svolte dalla Fondazione su progettualità in linea con gli intendimenti della collana. I volumi pubblicati utilizzano, inoltre, la Realtà Aumentata, per amplificare le opportunità di apprendimento dei lettori.

Ellerani, P., (2020) Capability Ecosystem: L’ecosistema per l’innovazione e la formazione. Roma, Armando Editore

scarica l’estratto della ricerca condotta in 311 Verona Capability Ecosystem